Sindrome di Menière: diagnosi e cura della malattia cronica dell’orecchio interno
Fu diagnosticata per la prima volta nel 1861 dal medico francese Prosper Menière ma ancora oggi non se ne conoscono le cause: è la Sindrome di Menière, un’affezione dell’orecchio interno, che si caratterizza per un aumento di volume dell’endolinfa, uno dei due liquidi presenti nell’orecchio interno, con un danno a carico della coclea, quindi dell’udito, e della parte relativa al controllo dell’equilibrio, ossia canali semicircolari, utricolo, sacculo.
Ne parliamo con il professor Augusto Pietro Casani, otorinolaringoiatra della Casa di Cura San Rossore, profondo conoscitore della patologia, su cui ha condotto importanti ricerche.
La malattia di Menière può colpire chiunque e insorgere a qualunque età, con prevalenza dopo i 40 anni. L’incidenza nella popolazione è di circa 1 caso ogni 1.000 individui.
Nell’80-90% dei pazienti, i sintomi della malattia interessano soltanto un orecchio (sindrome monolaterale), mentre quando sono coinvolte entrambe le orecchie (sindrome bilaterale), essi compaiono nel secondo orecchio dopo 2 o 3 anni rispetto al primo.
Le cause
«Riguardo ai fattori scatenanti, esistono numerose ipotesi in proposito, senza che vi sia accordo sulla reale rilevanza di alcuni di essi. Interessante la definizione coniata da Rauch nel 2010 di “orecchio fragile” che, nel caso del paziente menierico , significa avere un udito suscettibile a una miriade di fattori, come stress, alterazione del ritmo sonno-veglia, variazioni dietetiche, variazioni ormonali, allergie, ognuno dei quali potrebbe rappresentare il “trigger” dell’attacco acuto. Ad esempio è ben nota la possibilità di un’esacerbazione premestruale della MdM».
I sintomi
La malattia si manifesta con forti crisi vertiginose di tipo rotatorio della durata generalmente superiore ai 20 minuti, che impediscono alla persona il controllo del proprio corpo e qualunque movimento. Nel contempo si verificano nausea, vomito, sudorazione fredda. La crisi, dalla durata di alcuni minuti a molte ore, è spesso associata a ipoacusia fluttuante, aumento dell’acufene (o ronzio auricolare) e ad una sensazione di ovattamento auricolare.
«Questi sintomi possono non essere presenti contemporaneamente specie nelle fasi iniziali della malattia. Per questo, nel sospetto di Malattia di Menière, uno stretto follow-up è fondamentale poiché solo l’evidenza di una documentata ipoacusia in associazione con la vertigine può portare alla diagnosi certa».
Le terapie
Nella MdM si riconosce una terapia della fase acuta, volta soprattutto a gestire la crisi vertiginosa, ed una terapia della fase intercritica, il cui scopo, almeno teorico, è quello diridurre il numero e la gravità delle crisi vertiginose, alleviare i sintomi cronici (instabilità e acufene), prevenire la progressione della malattia, con particolare riguardo all’ipoacusia e ai disturbi dell’equilibrio. Le strategie terapeutiche proposte ed impiegate sono numerose.
«Per la terapia dell’attacco acuto si ricorre generalmente a farmaci ad azione vestibolo-soppressiva in associazione con antiemetici, oppure, anche per i benefici effetti ansiolitici, al diazepam per via endovenosa. Impiegato anche il cortisone e i diuretici osmotici per via endovenosa in infusione lenta».
Le terapie di mantenimento riescono ad ottenere un sufficiente controllo delle crisi vertiginose in almeno i 2/3 dei pazienti, soprattutto adottando un adeguato stile di vita, per cui è tassativo eliminare alcool, tabacco, caffè, limitare lo stress, adottare una dieta iposodica e bere tanta acqua. I farmaci utilizzati in questa fase intercritica sono gli steroidi per la loro azione antinfiammatoria ed immunosoppressiva così come la betaistina, farmaco ad azione istaminergica che pare migliorare il flusso ematico a carico dell’orecchio interno. Tra i trattamenti medici anche la terapia cosidetta pulse pressure attraverso l’utilizzo di uno strumento chiamato Meniett®. Purtroppo, ad oggi non esiste una terapia specifica per la sindrome, sebbene si possano attenuare o prevenire determinati sintomi, come, ad esempio, gli attacchi di vertigine e nausea.
Recentemente diversi studi hanno evidenziato che, prima del ricorso ad un approccio chirurgico (neurectomia del nervo vestibolare), una valida opzione terapeutica consiste nel trattamento con iniezioni intratimpaniche di cortisone o di gentamicina.
Quest’ultimo prodotto possiede un’azione parzialmente tossica nei confronti delle strutture labirintiche, determinando una effettiva riduzione delle crisi vertiginose.
Tra le opzioni terapeutiche per la cura della MdM c’è infine anche quella chirurgica, ma quando si rende necessaria?
«La maggioranza dei pazienti affetti da MdM può essere gestita con relativo successo attraverso un trattamento medico che, di fatto, cerca di accompagnare il naturale decorso della malattia che tende progressivamente a dar luogo ad una remissione della sintomatologia (burn out). Diversi studi hanno dimostrato che almeno nel 70-80% dei casi, dopo 7 anni, si assiste alla completa cessazione delle crisi indipendentemente dal tipo di terapia eseguita. Per questo si ritiene che non più del 5% dei pazienti menierici necessiti di un approccio chirurgico. Questo viene considerato laddove le crisi di vertigine non vengano controllate con la terapia medica».