L’obesità, caratterizzata da un aumento del tessuto adiposo, si verifica quando si ha un maggiore apporto alimentare rispetto al dispendio energetico: il corpo, attraverso l’attività del sistema metabolico, immagazzina l’eccessivo introito calorico sotto forma di grasso, con conseguente aumento di peso.

 

In questi termini, il problema dell’obesità può sembrare piuttosto semplice, ma le vere questioni da affrontare sono i motivi per cui molti individui non riescono a limitare l’eccessivo apporto calorico (S. Gilman Lancet 2008).

 

Secondo le stime attuali, il numero di persone in sovrappeso o affette da obesità nel mondo è raddoppiato a partire dal 1980, raggiungendo proporzioni epidemiche, soprattutto nel mondo occidentale, con un incremento sempre più preoccupante anche nella fascia più giovane della popolazione. Le ultime rilevazioni del 2020 indicano che quasi 1 miliardo di persone si trova in una condizione di obesità (cioè 1 persona su 7), con un incremento previsto fino a 1 su 4 entro il 2035, con oltre 1,9 miliardi di individui obesi, di cui 1,5 miliardi adulti e quasi 400 milioni bambini (1 bambino su 5). Per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l’obesità possiede tutti i requisiti per essere considerata una vera e propria patologia che incide su morbilità e la mortalità della popolazione; rappresenta infatti uno dei principali problemi della salute pubblica a livello mondiale ed è fattore di rischio determinante per l’insorgenza delle maggiori patologie croniche (tumori, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2) e di malattie respiratorie croniche.

 

La difficile prevenzione e le strategie di trattamento attualmente disponibili includono approcci dietetici/comportamentali, farmacologici e chirurgici, ma i risultati ancora insoddisfacenti rendono necessaria la ricerca di nuovi paradigmi e modalità più efficaci per la cura. La semplice indicazione “mangia meno e muoviti di più”, per quanto corretta, non si è rilevata efficace per il trattamento dell’obesità (S. Kahan & J.E. Manson JAMA 2019) e, come è noto, per l’80% dei casi in coloro che riescono a perdere peso si verifica, in tempi più o meno brevi, un ritorno al peso corporeo precedente (S.N. Bleich N Engl J Med 2018).

 

Per questi motivi è utile pensare l’obesità in termini meno semplicistici.

 

Come per altre condizioni mediche, l’obesità è un disturbo complesso di natura multifattoriale che nasce da una combinazione tra predisposizione genetica ed esposizione a fattori ambientali. La risposta biologica e comportamentale all’interazione tra genetica e ambiente è variabile da soggetto a soggetto ed è fortemente condizionata anche da fattori neuropsichici ed eventi vitali. La predisposizione genetica può rappresentare solo un elemento di maggiore vulnerabilità a situazioni di squilibrio energetico, conseguenti ad abitudini alimentari, stile di vita, stress e altri fattori ambientali. La fisiologica regolazione metabolica e ormonale del dispendio energetico e del sistema fame/sazietà viene alterata da fattori socio-economici (maggiori o minori disponibilità economiche), stile di vita (attività fisica, relax, qualità del sonno e rispetto dei ritmi circadiani, tempo dedicato all’alimentazione), attivazione della sensibilità gusto-sensoriale (cibo “spazzatura”, alimenti processati e iperpalatabili, bevande con zuccheri aggiunti), fattori cronici di stress, risposta a bisogni emotivi attraverso il cibo (C.M. Apovian Am J Clin Nutr 2010, H.R. Berthoud Proc Nutr Soc 2012). L’insieme di questi elementi, riassunto dal termine “ambiente obesogeno”, favorisce l’alimentazione inappropriata e la disregolazione metabolica a cui consegue l’aumento del peso corporeo. La risposta più frequentemente utilizzata per contrastare questa deriva è la dieta, variamente declinata in restrizione dell’apporto alimentare e controllo sulle calorie.

 

Seppure un migliore apporto energetico per qualità e quantità sia necessario per la gestione del peso corporeo, il “dieting” (l’idea che un’alimentazione sana corrisponda alla restrizione calorica) rappresenta paradossalmente, per molti individui, un fattore che concorre all’obesità e ne rende più difficile il trattamento. Anche se in genere mangiamo cibi che ci piacciono o troviamo gradevoli, il “dieting” e la pressione sociale per la magrezza favoriscono scelte alimentari incongrue alterando il naturale rapporto con il cibo, che diventa minaccia e pericolo e perde i suoi significati connessi all’energia, alla convivialità e al piacere.

 

Numerose evidenze dimostrano inoltre che i fattori psicologici ed emotivi contribuiscono ampiamente allo sviluppo e al mantenimento dell’obesità, condizionando scelte alimentari inadeguate, rinforzate dallo stigma sociale per il peso corporeo che di per sé correla con effetti negativi sulle possibilità di trattamento dell’obesità e sulla salute (R.M. Puhl Am J Publ Health 2010). La ricerca e le linee guida per il trattamento dell’obesità indicano oggi con chiarezza la necessità che, oltre il semplice controllo dell’intake calorico, il counseling nutrizionale si confronti con i diversi aspetti in gioco nelle scelte alimentari e nelle abitudini di vita dei pazienti (W.T. Garvey et al. Endocr Pract 2016), inclusi i fattori emotivi e psicologici che concorrono all’insorgenza e al mantenimento dell’obesità, specie in età infantile e giovanile. Particolare attenzione, infatti, va posta al rapporto, talora difficile, dei bambini con il cibo e all’obesità infantile. In età infantile, l’approccio tradizionale basato su dieta e restrizione calorica è in genere inefficace e anche controindicato (American Academy of Pediatrics 2016). Gli studi supportano la necessità di approcci più complessi e articolati che includano aspetti gusto-sensoriali, prevalenti nei bambini (A. Drewnowski et al. Am J Clin Nutr 2000), abitudini alimentari, dinamiche psico-affettive all’interno della famiglia e impatto delle pressioni relative alle richieste prestazionali vissute dal bambino.

 

A integrazione di quanto già acquisito per la cura dell’obesità, le attuali conoscenze indicano nuovi paradigmi che gli operatori possono fare propri attraverso attività in gruppi multidisciplinari integrati, per una prevenzione più efficace e moduli di trattamento dell’obesità in grado di incontrare il mondo reale dei propri pazienti affrontando le difficoltà alla base del mantenimento dei comportamenti alimentari inadeguati e dei loro problemi inerenti la salute e la qualità di vita.

 

A cura degli specialisti del Centro Disturbi Alimentari della Casa di Cura San Rossore