Nevralgia del trigemino: quali le opzioni terapeutiche?

La nevralgia del trigemino è una sindrome dolorosa molto comune, che colpisce principalmente soggetti di età superiore ai 40 anni, è più frequente nel sesso femminile e ha un’incidenza di 5-7 casi su 100.000/anno.

Il dolore è in genere molto forte, solitamente di breve durata, trafittivo, spesso descritto come “scossa elettrica”. Viene interessata una metà del volto, in corrispondenza della regione dell’occhio, della mascella e della mandibola, a seconda del coinvolgimento di una o più branche del nervo; rarissime sono le forme bilaterali.

La diagnostica clinica si basa sulle caratteristiche e la localizzazione del dolore, quella strumentale si avvale della Risonanza Magnetica dell’encefalo con mezzo di contrasto.

«La crisi dolorosa viene spesso scatenata da situazioni specifiche (ad esempio lavarsi il viso o i denti, mangiare, ridere, sbalzi termici repentini), ma può insorgere anche spontaneamente e in modo acuto, più volte nel corso della giornata, compromettendo in maniera significativa la qualità di vita del paziente», come ci spiega il dott. Franco Ammannati, neurochirurgo presso il “Centro per il trattamento delle nevralgie dell’estremità cefalica” attivato nella Casa di Cura Privata San Rossore di Pisa, specialista con alle spalle una pluridecennale esperienza nella cura delle nevralgie dell’estremità cefalica.

Quali le opzioni terapeutiche ad oggi disponibili per la cura?

In prima istanza si instaura una terapia farmacologica specifica volta a controllare il dolore; nei casi in cui essa non risulti di beneficio o presenti effetti collaterali si ricorre a trattamenti invasivi.

Quali i vantaggi e gli svantaggi della terapia farmacologica?

L’ovvio vantaggio è che il paziente non viene sottoposto ad intervento chirurgico invasivo.

Gli svantaggi sono: la necessità di una terapia di lungo periodo, il frequente bisogno di aumentare progressivamente il dosaggio per ottenere il controllo dei sintomi, la possibile inefficacia, a breve o lungo termine, del trattamento ed infine i potenziali effetti collaterali dei farmaci.

Oltre la terapia con i farmaci, quali i trattamenti possibili?

Interventi percutanei:

Diatermocoagulazione del ganglio di Gasser (coagulazione, possibilmente selettiva, delle radici nervose, mediante un elettrodo a radiofrequenza)
Rizotomia con glicerolo (iniezione percutanea di glicerolo nella cisterna del cavo di Meckel)
Rizotomia con alcool (alcoolizzazione percutanea del ganglio)
Microcompressione del ganglio di Gasser con palloncino, per via percutanea (in genere meglio tollerata delle tecniche precedenti; non comporta dolore intraprocedurale, in quanto effettuata in anestesia generale)
Infiltrazione anestetica/alcoolizzazione/avulsione di branche periferiche: l’effetto è sovente parziale e transitorio.

Interventi con craniotomia:

Microdecompressione neuro-vascolare (MDV) della radice retrogasseriana in fossa cranica posteriore, sec. P. Jannetta: si tratta di un intervento chirurgico “open” che mira all’eliminazione del contatto neuro-vascolare che, nella maggior parte dei casi, è all’origine della sintomatologia dolorosa
Sezione parziale o totale della radice sensitiva retrogasseriana in fossa cranica posteriore/media.

Radiochirurgia stereotassica con Gamma – Knife:

Ha una modesta invasività (il paziente non è sottoposto ad intervento chirurgico), un’efficacia variabile e richiede tempi relativamente lunghi prima di ottenere risultati, per cui non è indicata nei casi più gravi.

La terapia chirurgica per il trattamento della nevralgia del trigemino è tendenzialmente mini-invasiva. Una delle tecniche più utilizzate è la microcompressione del ganglio di Gasser.

In cosa consiste e in quali situazioni si ricorre ad essa?

L’intervento chirurgico di microcompressione del ganglio di Gasser viene proposto come trattamento mini-invasivo nella nevralgia idiopatica, resistente alla terapia medica, soprattutto in persone anziane, che sono la grande maggioranza, o con comorbilità.

L’effetto dell’intervento chirurgico è in genere una totale o parziale risoluzione della sintomatologia dolorosa; talora si mantiene, a dosi ridotte, la terapia medica.

Si procede in anestesia generale; sotto monitoraggio radiologico si inserisce un ago-cannula nella cute sotto lo zigomo omolaterale al dolore fino a penetrare nel forame ovale dell’osso sfenoide, quindi attraverso la camicia dell’ago si passa un catetere Fogarty 4F che viene gonfiato con 0.6 – 1 cc di mezzo di contrasto in modo da visualizzare radiologicamente il palloncino che esercita una compressione meccanica sul ganglio, per pochi minuti.

La percentuale immediata di successo della tecnica è alta, circa 80 – 90%, ma sono possibili recidive a distanza di tempo, per rigenerazione delle fibre del nervo.

La procedura è comunque ripetibile al bisogno, data la sua scarsa invasività.

La microcompressione è indicata nei pazienti anziani e/o con gravi malattie concomitanti e ha l’indubbio vantaggio di essere una tecnica mini-invasiva, non gravata, in genere, da complicanze ed effetti collaterali importanti